In una lettera indirizzata a Ministero e FNOMCeO, l’Ordine dei Medici di Milano, chiedendo spiegazioni relativamente alla circolare del 16 agosto 2017 inerenti l’applicazione della nuova legge sulle vaccinazioni appena licenziata dal parlamento, sottolinea che non esiste alcuna differenza tra attestare e certificare, come invece sembra affermare la circolare stessa.
Leggi qui di seguito l’articolo di Mauro Miserendino riportato da Doctor33 il 16 settembre 2017:
«Non c’è differenza tra attestato e certificato. Ventilarla, con l’obiettivo di spiegare al pubblico e ai medici perché non si vuole far pagare una prestazione del medico o del pediatra, introduce nel diritto un “equivoco da superare”. Non tanto perché si evita di elargire al medico un (giusto) corrispettivo ma perché si creano i presupposti per depotenziare la certificazione in sé». Da presidente dell’Ordine dei Medici di Milano Roberto Carlo Rossi scrive al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e le chiede di rivedere la circolare sui vaccini quando chiede al medico di famiglia di produrre un “attestato di avvenuta immunizzazione” ai genitori che non intendano vaccinare un figlio per una malattia che ha già avuto. «O il ministero spiega la differenza tra attestare e certificare -chiede Rossi – o lo fa la Fnomceo, o va rivista la circolare ministeriale del 16 agosto». Secondo quest’ultima, attuativa del decreto legge che rende obbligatorie 10 vaccinazioni entro i 16 anni, l’attestato del curante può sostituire copia della notifica di malattia infettiva fatta da Asl o dal pediatra o dal medico stesso. Il medico per provare l’avvenuta immunizzazione può chiedere analisi sierologiche sul bambino. «Dunque siamo in presenza di un percorso di accertamento di una situazione. Ora, ripercorriamo la differenza tra attestato e certificato. Nelle leggi non c’è. Nel codice penale non c’è. Nelle sentenze della Cceps nemmeno, il codice deontologico non la rimarca. Insomma, la introduce il funzionario ministeriale», dice Rossi. Per inciso, la pone anche in un altro passaggio, quando dice che i genitori devono produrre alla scuola il certificato vaccinale per iscrivere il figlio, o in alternativa un’attestazione che indichi che il soggetto è in regola. «Attestare deriva da ad-testari -dice Rossi- testimoniare, e nel nostro diritto la testimonianza certifica. Ergo, la differenza non c’è». «Se proprio volessimo ripercorrere il contorto ragionamento del funzionario potremmo immaginare un medico che ricostruisce tra notifiche e consultazioni delle schede assistito un elenco virtuale dei soggetti colpiti da una certa patologia infettiva e da quell’elenco pesca il nominativo per il quale attesta l’avvenuta immunizzazione: un atto burocratico. Ma il certificato che la circolare ci chiede presuppone un percorso di indagine, valutazioni caso per caso, persino analisi sierologiche». Insomma è atto medico, «ma è gratis. «Di ciò posso provare fastidio come sindacalista. Ma deontologicamente mi preoccupa di più che il ministero, pur di evitare oneri alle famiglie, apra all’esistenza di “certificati depotenziati” e “scritturine” che possono o meno avere valore a seconda del contesto. L’atto medico è sempre atto medico e certificatorio».
Una differenza tra attestato e certificato si pose per la malattia del dipendente, con il certificato modello OPM1 diretto all’Inps con la diagnosi e l’attestato OPM2 per l’azienda. «E’ l’unico precedente», ammette Rossi. «Occorreva una definizione alternativa per un certificato che nascondesse la diagnosi al datore di lavoro. Però il precedente non dà ragione al funzionario, anzi conferma che il certificato medico contiene sempre una diagnosi. Ora, alla base dell’attestato da produrre di cui si parla nella circolare ministeriale la diagnosi c’è in quanto implicita nella testimonianza del medico di “avvenuta immunizzazione”. Dunque chiamarlo attestato è fuori luogo, certificato resta la parola giusta. Il ministro della Salute ne prenda atto».